Buona parte della riforma costituzionale del referendum del 4 dicembre 2016 riguarda i poteri del nuovo Senato. La legge prevede che esso perda poteri a favore della Camera dei Deputati, scivolando dal secondo al terzo posto come importanza. Il Senato diventa un’aula rappresentativa delle autonomie locali, che non ha più poteri legislativi effettivi, cioè non vota le leggi della Camera, può solo votare osservazioni e modifiche ma sulle quali la Camera ha l’ultima parola.
Tutto ciò è davvero strano e fa sensazione se si pensa che a Roma, nella città eterna, per tanti secoli ha avuto sede un Senato onnipotente. Quello romano. Di cosa si occupava il senato romano e da chi era composto?
Prima dell’epoca di Cesare, diciamo al tempo di Mario e Silla (100/80 a.C.) il Senato era l’Assemblea dei “patres” per usare un’espressione di Cicerone. Già da decenni, se non secoli, esso era diventato però il coacervo delle forze portatrici di precisi interessi economici e quindi non solo patrizi. A Roma infatti si erano consolidate grandi famiglie patrizio-plebee, che unendo i propri interessi avevano allargato la loro base clientelare, acquisendo sempre più prestigio e potere politico. Il Senato era insomma l’assemblea di un partito conservatore, che Cicerone chiama “optimates”, che rappresentava gli interessi economici sia delle famiglie più antiche di rango consolare o pretorio (le massime cariche che davano diritto a un seggio in Senato), sia di quelle “equestri” cioè dei cavalieri che in virtù del loro censo (perlopiù costituito da guadagni derivanti dal commercio, mentre i senatori non potevano commerciare e basavano la loro ricchezza sul possesso di latifondi).
L’appartenenza al Senato era quindi un segno distintivo in quanto significava entrare in una cerchia apparentemente allargata (i membri erano solo 300 più i consolari), ma molto ristretta, in quanto vi sedevano elementi delle stesse famiglie e molte tra di esse erano imparentate.
Il Senato era la massima carica legislativa e dirigeva tanto la politica monetaria, quanto quella economica. Aveva il potere di conferire l’imperium, cioè il comando militare, ai magistrati, di norma i consoli o i pretori. Dal punto di vista pratico il Senato aveva l’ultima parola su tutto: cioè definiva la durata e l’area del comando militare, la necessità o meno di organizzare una leva di soldati, la paga per questi, prorogare o revocare il comando, inviare ambascerie e firmare le dichiarazioni di guerra, nonché prendere i provvedimenti affinché la repubblica venisse difesa. In questo caso, la soluzione più efficace era quella di affidare il potere ai magistrati fino ad arrivare a sospendere le magistrature ordinarie per instaurarne di straordinarie, come ad esempio la dittatura, se il momento era grave.
Uno speciale decreto del senato era il senatoconsulto, con il quale il Senato emanava la propria autorevolezza sulle altre magistrature e sul popolo. Il senato consulto ultimo era una sorta di ultimatum e veniva emanato in condizioni di particolare precarietà e pericolo.
Il controllo sulla finanza pubblica consentiva al Senato, tramite i questori, di dirigere la spesa pubblica secondo le esigenze, dando copertura finanziaria alle leggi e quindi di fatto contrastando spesso le politiche demagogiche o popolari.
Nel tempo anche il Senato romano perse poteri. Giulio Cesare ad esempio inflisse il primo duro colpo alla sua autorevolezza, quando ne aumentò gli effettivi dopo la sua presa di potere. Augusto nominò altri 600 senatori di suo gradimento, tra i quali molti elementi dell’aristocrazia provinciale. Con Augusto il Senato e per tutto il periodo del principato, divenne un’assemblea consultiva del potere imperiale, anche se ci teneva a mantenere le vestigia del potere di un tempo. Ritrovò il potere con Nerva che infatti adottò Traiano e non trasmise il potere per via dinastica, ma ormai da tempo il potere era nelle mani dell’imperatore e della sua cerchia.
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